Il piccolo borgo siciliano di Sutera conserva architetture, sapori e tradizioni dei popoli che ne hanno abitato i luoghi. E celebra un rito speciale per la festa di San Giuseppe.
Nella provincia di Caltanissetta, tra i profumi del rosmarino e del timo, Sutera – quasi 1.500 abitanti di cui circa 200 nel borgo antico – accoglie gli ospiti con i suoi angoli carichi di storia. Tra questi il Ràbato, la casbah, un agglomerato di case che affollano gli stretti vicoli fondato nell’860 d.C dagli arabi, dopo il dominio dei Bizantini. Anche il quartiere Rabatello prese vita nella seconda metà dell’800, edificato con uno stile urbanistico tipicamente arabo con case costruite in gesso e ubicate in stradine all’interno di un percorso sinuoso, quasi labirintico, caratterizzato da numerose salite e discese. Dallo stesso modello deriva la casa contadina siciliana a un solo piano, il dammuso.
Altri quartieri devono la loro origine alla dominazione araba, così come molte tradizioni: all’epoca, infatti, vennero introdotte notevoli tecniche di coltivazione, come l’incanalamento dell’acqua dei torrenti e nuove piante, tra cui il pistacchio, e il villaggio divenne sede di scambi commerciali e operazioni strategico-militari. Quando si passeggia tra i vicoli in pietra lavica e calcarea del Ràbato, tra i suoi cortili, le vecchie case e gli orti incolti dove fioriscono i pistacchi, sembra di camminare su territori dal sapore biblico, ma solo il successivo dominio normanno determinò la conversione di qualunque edificio in luogo di culto cristiano.

Chiesa Maria Santissima del Carmelo, Sutera ©Ignazio Catalano
I primi normanni, e poi Federico II di Svevia, crearono il nuovo quartiere Giardinello, caratterizzato da case circondate da ettari di terreno adibiti a orticelli o graziosi giardini. Le prime testimonianze storiche risalgono al VII secolo a.C. e la fondazione della città, tra storia e leggenda, è attribuita a Dedalo, l’architetto ateniese fuggito dal labirinto di Creta e ospitato da re Cocalo, che dominava su una porzione dell’isola. La sua posizione, tra il Monte San Paolino e la collinetta di San Marco, era talmente vantaggiosa che numerosi flussi migratori greci la ritenevano adatta per condurre una vita florida avendo a disposizione terreni fertili e sentieri ricchi di cacciagione in totale tranquillità.
Per questo, forse, il suo nome deriva dal greco soter che significava salvatore. Sutera, uno dei Borghi più belli d’Italia, domina la splendida Valle dei platani, un lembo straordinario di Sicilia, e continua a regalare eccellenze ed emozioni dovunque. Numerose le chiese e i palazzi d’epoca che riempiono di bellezza gli occhi dei visitatori. Tra questi i ruderi del Palazzo Salamone, in cui nacque Francesco Salamone, uno degli eroi della disfida di Barletta del 1503, e la Rocca spaccata, una collinetta che, secondo la tradizione, si sarebbe aperta al momento dell’ultimo respiro di Gesù sulla croce.
Altri luoghi di interesse della cittadina sono il Santuario di San Paolino, l’eremo di Sant’Onofrio, antico convento dei Filippini, la chiesa di Sant’Agata, il municipio, la chiesa di Maria Santissima del Carmelo, il Museo etno-antropologico e la cinquecentesca chiesa di Maria Santissima Assunta edificata nel 1532 nel luogo in cui secoli prima sorgeva la moschea. È un territorio, questo, dove le tradizioni sono molto sentite e partecipate, a cominciare dalla festa di San Giuseppe, il 19 marzo. Ogni anno, a Sutera, il comitato dei festeggiamenti in onore del santo sceglie tre persone del paese per vestire i panni della Madonna, di San Giuseppe e di Gesù bambino.
Le celebrazioni prendono inizio al mattino con un corteo presieduto dal sacerdote che, insieme ai fedeli, si reca a casa delle persone scelte per la vestizione dei figuranti e poi in chiesa per officiare la Santa Messa. Subito dopo il corteo, figuranti, sacerdote e fedeli raggiungono piazza Mameli per la storica Tavulata di San Giuseppe – in siciliano Tavuli di San Giuseppi – una lunga tavola imbandita in loro onore con i prodotti tipici della zona. Dopo la benedizione viene distribuita a tutti la minestra del santo, preparata dai componenti del comitato, mentre chi interpreta la sacra famiglia mangia anche altre pietanze locali, come i minnulicchi, dolci di pasta fritta della tradizione siciliana.

La tavolata in occasione della festa di San Giuseppe ©Ignazio Catalano
«È ancora in uso, anche se in misura minore rispetto agli anni passati, apparecchiare nelle proprie case i vicchiareddi, ossia tavole imbandite dai fedeli che, per riconoscenza al santo, invitano a pranzo i parenti o i vicini», racconta il presidente della pro loco, Carmelo Mattina. «Dopo la festa di San Giuseppe Sutera si animerà, di nuovo, con i riti e le processioni della Settimana santa, per rivivere il dramma doloroso della morte di Cristo. Le confraternite faranno da corollario a un entusiasmante rito che segue la veglia pasquale e la Resurrezione di Cristo. Martedì dopo Pasqua, poi, partirà una solenne processione dalla vetta della montagna per accompagnare, fino al centro del paese, le preziose urne in argento contenenti le sacre reliquie dei compatroni San Paolino e Sant’Onofrio. Emozioni che vanno vissute di persona».
Alcuni piatti tipici del borgo sono il maccu di fave, una minestra a base di legumi, lu pitirri, una sorta di polenta di farina di semola di grano duro, e li virciddratu, ciambelline di pasta di pane, che a nominarle in dialetto sembrano ancora più buone. Specialità che hanno sapori antichi e richiedono contenitori all’altezza: per trasportare li virciddratu, ma anche le mandorle di varietà fellamasa, l’olio di oliva e i formaggi, viene spesso utilizzato lu panaru, un cesto di rami di ulivo, salice o olmo intrecciati artigianalmente.
Foto in evidenza Sutera (Caltanissetta) ©Ignazio Catalano
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