Un itinerario aromatico lungo la penisola alla scoperta di piante spontanee, erbe, radici e bacche. usate per realizzare infusi che oggi accompagnano i piatti salati con la stessa dignità di un calice di vino.
Si sa che uno dei principali per mettersi in viaggio alla scoperta dell’Italia è assaggiarne le specialità tipiche. Il Paese conta quasi 320 prodotti a de- nominazione protetta, tra Dop, Igp e Stg (Specialità tradizionale garantita) ma oltre a verdure, legumi, insaccati e formaggi esiste una nicchia tutta da scoprire. Nell’ampio panorama della biodiversità italiana, infatti, si considera poco il mondo delle piante erbacee e aromatiche utilizzate per la prepara- zione dei cibi ma anche per produrre tè, tisane e infusi.

Cerimonia del tè in pairing ©Gabriele Bianchi
Sono molte quelle che crescono spontaneamente nel nostro Paese caratterizzando diverse realtà territoriali. Dal finocchietto al prugnolo selvatico, dalla maggiorana alla camomilla alcune sono comuni quasi dovunque: è facile trovarle nelle campagne e vengono regolarmente usate in cucina. Altre erbe, invece, sono legate ad alcuni territori specifici e possono diventare protagoniste di un itinerario aromatico lungo la Penisola. Basti pensare al pregiato ginepro della Toscana, alla base di circa la metà dei migliori gin mondiali, che si può raccogliere in autunno dalla costa fino a un’altitudine di 1.500 metri. Le bacche si trovano nella provincia di Arezzo, Siena e Firenze, sulla costa maremmana e perfino nell’arcipelago toscano: nelle isole di Giannutri, Pianosa e all’Elba. Le si può trovare nel Chianti, in un tragitto che porta da una cantina all’altra, tra le colline punteggiate a vigneti, oppure lungo un itinerario che da Sansepolcro – patria del pittore Piero della Francesca – guarda a Cortona e al suo retaggio etrusco. Discorso analogo per il mirto sardo, che cresce lungo le zone litoranee dell’isola: dalle grotte di Nettuno ad Alghero fino alla spiaggia del Poetto a Cagliari, è facile imbattersi nelle tipiche bacche blu usate per aromatizzare i piatti e produrre il noto liquore.

Risotto al nero di seppia con polvere di cavolo nero, accompagnato da una kombucha (tè fermentato) di pomodoro ©Masakatsu Ikeda
Il pino mugo che punteggia i paesaggi montani è tipico di diverse regioni settentrionali: lo si può trovare tra i boschi di Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia e Trentino, solitamente a un’altitudine compresa tra i mille e i 2.700 metri. Allo stesso modo, i più famosi campi di lavanda dell’arco alpino e appenninico sono protagonisti di vari itinerari tra nord e centro Italia. Le distese viola si possono ammirare intorno a fine giugno soprattutto in provincia di Cuneo, nel tratto da Sale San Giovanni a Valle Stura di Demonte: chi volesse fare un salto nella zona può mettere in programma anche una visita all’antico acquedotto in pietra di Aisone e alla torre civica medievale di Borgo San Dalmazzo.
I campi di lavanda si trovano anche sul percorso dell’antica Via del Sale, che dalla Lombardia porta fino alla Liguria, in particolare nell’Oltrepò Pavese, nei dintorni di Godiasco Salice Terme, borgo caratterizzato dall’elegante Palazzo Malaspina. Ma anche in Veneto, vicino a Porto Tolle, nella provincia di Rovigo, non lontano dal delta del fiume Po. Questa specie è protagonista anche in Emilia-Romagna a Casola Valsenio, località del Ravennate nota anche come il paese delle erbe per la grande varietà di piante aromatiche e officinali coltivate nel suo Giardino botanico. Nella zona, valgono la visita la Rocca di Monte Battaglia, con i ruderi di un’antica torre di vedetta, e l’abbazia di Valsenio, fondata dai monaci benedettini attorno all’anno Mille. Infine, d’estate la lavanda circonda anche Assisi, in Umbria, contribuendo all’atmosfera mistica della cittadina di San Francesco, mentre a Tuscania, nel Lazio, punteggia le necropoli etrusche sul colle di San Pietro.
Un itinerario aromatico tra le erbe può far tappa anche in Abruzzo, alla scoperta dello zafferano che tra ottobre e novembre fiorisce sull’altopiano di Navelli, nella provincia dell’Aquila, inserito nella lista dei Borghi più belli d’Italia per il suo centro storico che racchiude angoli di storia contadina.
L’origano tipico delle regioni meridionali si trova invece praticamente ovunque durante tutto l’anno, ma le zone più suggestive da visitare – spesso lontane dal turismo di massa – comprendono l’area cosentina (dove è consigliabile una sosta tra i vicoli della città vecchia), il paese di Aragona nell’agrigentino e il piccolo comune di Prizzi nel palermitano. Sempre al sud, si può andare alla scoperta della liquirizia calabrese, caratteristica delle zone di Corigliano e Rossano, in provincia di Cosenza, dove a questa pianta è dedicato anche un museo.

Gabriele Bianchi
Tisane al calice
Ma la tendenza sempre più in voga è abbinare tè, tisane, infusi e succhi di frutta ai piatti salati. «Se il tè rosa Kashmiri Chai del Pakistan si lega a un piatto di gnocchi alle rape rosse, cercando tra le erbe made in Italy possiamo azzardare un infuso al prugnolo selvatico dell’Appennino modenese preparato in sei minuti d’infusione a 80°, in abbinamento a un piccione cotto a bassa temperatura, anche perché entrambi hanno un sentore di ferro nella parte di retrogusto olfattiva». Ma sono tanti gli esempi gourmet che vedono gli infusi protagonisti a tavola. «È il caso dei bottoni ai grani antichi ripieni alle sarde e il loro brodetto, con polvere di sfincione, preparati da Giuseppe Germanà. L’executive chef del relais Villa San Martino, a Martina Franca, li abbina a una tisana con liquirizia e nocchio che ripulisce il palato spingendo ancor di più il gusto delle sarde. In alternativa, si può provare il fagotto di barbabietola con tartare di scottona, zabaione salato, caviale beluga e mayo al wasabi abbinato a un tè nero Assam». Questo pairing, conclude Bianchi, può essere valorizzato anche servendo infusi o tè in un calice, perché il cliente possa più facilmente essere portato a comportarsi come se avesse davanti un bicchiere di vino.
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